Cronache dalla terre di Scarciafratta by Remo Rapino

Cronache dalla terre di Scarciafratta by Remo Rapino

autore:Remo Rapino [Rapino, Remo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Minimum Fax
pubblicato: 2021-10-09T22:00:00+00:00


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Ramaglia Giuseppe, Iseppe di Scrocche

Il maestro Forchetta dovrebbe mangiarsi la lingua prima di dar fiato alla bocca, ché non è mica una bella cosa da sentire, Sciagurato, sgraziato e stonato, per il mio mulo, che è animale sensibile e ci si può dispiacere. Io c’ho le spalle forti, che sulle spalle mi porto il nome del padre di Gesù Cristo, Giuseppe, e pure quella è una croce, che poi per me, hai voglia a inventare favole e trucchetti, è lui il padre vero del povero Gesù. Tutti però, in questo paese di malelingue, mi chiamano Iseppe di Scrocche, come una pigliata per culo, ma ormai c’ho fatto il callo e non mi c’incazzo più di tanto. Scrocche perché malignano che mi approfitto di tutti e di tutto, che campo a scrocco insomma, senza mai pagare dazio. Ma, a conti fatti, tutti mi conoscono e mi salutano quando mi vedono, fin dalla prima luce, sempre in groppa al mulo, e tanto ci sto sopra che mi sono venute gambe stortarelle e così lunghe, due trampoli, che, stando a cavallo per gran parte del giorno, quasi mi strusciano gli zoccoli di legno per terra. Così tutta la vita mia, un andare e venire tra le ultime case del paese e la masseria, con un cappello sgualcito in testa per il sole, ma così pieno di buchi che i raggi del sole con quei buchi ci giocano a chiapparella, fiatando calore dal mattino al tramonto. In effetti io, Iseppe di Scrocche, mi ritrovo un solo, unico, grande amore, e a lui, un po’ martire e un po’ vergine, sono rimasto fedele per tutta la vita. Non mi sono mai voluto innamorare, troppi pensieri, troppi impicci, troppe spese. Il mio sentimento fiorisce e rifiorisce tutto per Orlando, il mio mulo. Che davvero una bella coppia siamo, il mulo Orlando, per gli amici Lallò, e Iseppe, il padre putativo, due cuori, una stalla, un unico battito. Mi potete vedere, ogni giorno del calendario, di primo mattino, un tocco di cacio e pane duro nello stomaco, una tazza di vino, un mezzo sigaro tra i denti, che me ne vado, a caracollo del mulo, verso le Terre di Masseria, dove mio padre buonanima mi ha lasciato un capanno tenuto in piedi solo dalle preghiere e dalla pietà del vento. Ogni tanto, tra il legno e la pietra, viene fuori una crepa, si sfarina qualche mattone, il tetto cigola, pure lui si lamenta e avverte la paura dell’inverno. Da quelle parti mai un’anima, né morta né viva, mai una voce, un rumore di passi, solo un silenzio senza tempo. Un muro di silenzio che non mi fa strizza per niente. Quel silenzio lo rompo con la mia voce, ché io ci muoio dietro all’Opera, se sale in cielo uno sguincio di luna, con una bocca impastata di vino rosso alla buona, scarabocchio sul grande foglio del mondo un Lucean le stelle, Che gelida manina me la lasci riscaldar, poi, se di buzzo buono, finanche un Dove sta zazà, uh madonna mia, jammola a truvá.



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